Luglio 9, 2025

È giusto far lavorare adulti pensionati e lasciare al palo i giovani con talento e voglia di esprimersi? Il nostro focus

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In un Paese che invecchia e arranca, la domanda è più che legittima: è giusto che adulti pensionati continuino a occupare posti di lavoro, mentre giovani pieni di talento e voglia di mettersi in gioco restano in attesa di un’opportunità? La questione non è solo economica, ma anche etica e sociale.

L’esperienza non deve soffocare l’energia

È innegabile che i lavoratori anziani abbiano dalla loro una vasta esperienza, spesso indispensabile in settori complessi o in ruoli di responsabilità. Tuttavia, il sistema dovrebbe saper valorizzare questa esperienza senza trasformarla in un ostacolo per chi si affaccia al mondo del lavoro. Quando un pensionato torna a lavorare o viene trattenuto oltre l’età pensionabile, si occupa un posto che potrebbe rappresentare una svolta per un giovane preparato, motivato e pronto a crescere.

Giovani esclusi: una perdita per il futuro del Paese

Lasciare i giovani “al palo” ha conseguenze gravi: frustrazione, fuga di cervelli, calo della natalità e impoverimento dell’innovazione. Non si tratta solo di giustizia generazionale, ma di sostenibilità a lungo termine. Ogni giovane talento non valorizzato è una possibilità persa per il Paese. Se il sistema produttivo non rinnova le proprie forze, rischia di invecchiare insieme alla sua classe dirigente.

La pensione non è un obbligo, ma nemmeno una scorciatoia

Chi ha raggiunto la pensione ha certamente diritto a godersi i frutti del proprio lavoro. Se sceglie di continuare a lavorare per passione o necessità, non va demonizzato. Ma questa libertà individuale non può trasformarsi in un meccanismo sistemico che frena il ricambio generazionale. Il problema nasce quando il mercato o lo Stato agevolano il reinserimento dei pensionati in ruoli chiave, senza offrire pari opportunità ai giovani.

Verso un equilibrio generazionale

La soluzione non è lo scontro tra generazioni, ma la cooperazione. I lavoratori anziani possono diventare mentori, trasmettendo competenze prima di cedere il passo. Le istituzioni dovrebbero incentivare il passaggio di consegne, favorendo l’inserimento dei giovani con contratti stabili, formazione continua e reale valorizzazione del merito.

In definitiva, non è sbagliato che un pensionato lavori, ma è profondamente ingiusto che lo faccia a scapito di un giovane che ha tutte le carte in regola per contribuire al progresso della società. L’equilibrio è possibile, ma solo se si ha il coraggio di riformare un sistema che, troppo spesso, premia la rendita e ignora il potenziale.

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